a Peppino Impastato e Santo De Luca

mercoledì 15 luglio 2009

DOPO LA TARTARUGA DI "NOTIZIE" W LA PANTEGANA DENTRO LA TANA

Fino a questo momento è stato trattato un numero molto ampio di figure animali, ma quello che interessa maggiormente questa ricerca è il topo, che dimostra di avere delle peculiarità molto originali e contraddittorie in varie culture del mondo, in particolar modo in Giappone.
Generalmente la pantegana viene ritenuta un animale assolutamente inutile, se non addirittura da eliminare, in quanto dedito alla rovina dei magazzini di rifornimenti o dispensatore di malattie. È comunque sempre presente in tutte le storie raccontate intorno al focolare, forse a causa della sua vicinanza alla vita umana quotidiana, ma anche perché le sue ridotte dimensioni davano adito ad una “ripugnante attrazione”.
Il nostro bagaglio fantastico è ricco di questi piccoli roditori: dai marinai persuasi che abbandonassero le navi destinate a colare a picco (lo stesso dicasi per le case pericolanti), agli antichi che credevano portassero ricchezza o che riuscissero perfino a terrorizzare gli elefanti. In genere è indicato come il principe del sottosuolo, proprio per la sua caratteristica vita sotterranea, per il qual motivo viene spesso associato ai serpenti o alle talpe simili tra loro nello scavare profonde buche.
Come venne poi anche sostenuto da Freud, la vita sotterranea o il muoversi di nascosto nelle profondità, in spazi angusti, luridi e senza luce, ha da sempre legato indissolubilmente il topo all’oscurità, facendo sì che risultasse naturale innalzarlo a simbolo diabolico con facoltà profetiche. Ad esempio, sarebbe indice di sventura trovare rosicchiati oggetti come i libri, simbolo della cultura, e sentire squittire sarebbe annuncio dell’arrivo di disastrose tormente. Come si può ben capire, l’elemento malefico viene associato ai topi sin dall’antichità; basti pensare che ci sono giunti documenti del Cinquecento attestanti lo svolgimento in alcune zone dell’Europa di processi a loro carico in quanto accusati di essere inclini al maligno.
I processi nei confronti degli animali nel Medio Evo furono molti ed avevano tutti una procedura giudiziaria del tutto simile a quella che veniva esercitata normalmente, con condanne anche esemplari che portavano all’esecuzione capitale. Il motivo del topo come strumento di Satana si diffuse moltissimo nel Medio Evo, divenendo argomento facente parte dei costumi del tempo, come ad esempio la credenza che fosse utilizzato dalle streghe per deviare o corrompere gli uomini più ingenui. Tali superstizioni vennero favorite anche dalla grande propagazione di ratti neri che ci fu in Europa nel Quattrocento e che portò alla distruzione di interi raccolti, ma soprattutto alla nascita di un nuovo mestiere: quello del cacciatore di topi. Si pensi alla popolare fiaba del pifferaio di Hameln scritta dai fratelli Grimm, che affonda le proprie radici nelle elaborazioni fantastiche popolari.
A quest’invasione di topi, cercò poi la Chiesa un rimedio per evitare che l’intera società umana cadesse in un serio pericolo; si scagliò infatti contro l’intera specie dei ratti, da sempre raffigurati mentre rosicchiano l’albero della vita, scomunicandoli per esorcizzarne l’influsso malefico.
L’antico legame tra questo roditore e le tenebre si ostenta anche nel suo essere associato all’anima: nel momento stesso in cui un uomo cessava di vivere, si riteneva che il soffio vitale lasciasse il corpo in fretta e di nascosto proprio come un topo. Nel folclore tedesco era molto presente questa tradizione, tanto che il vedere un topo era considerato di malaugurio in quanto veniva considerata come la reincarnazione dell’anima di un defunto, ma soprattutto si pensava che, alla morte del padrone di una casa, questi animali la lasciassero per sempre. Infine i musulmani credono che l’anima di una determinata tribù israelita sia la dimora di alcuni topi, mentre per gli ebrei stessi hanno sempre rappresentato l’ipocrisia e la duplicità.
Il già citato pifferaio di Hameln assume così una connotazione più spiritualistica, divenendo -nell’ottica popolare- un cacciatore di anime al servizio di Satana, grazie al suo strumento magico e ammaliatore.
Un modello affine lo si trova in America Centrale al tempo degli Aztechi, dove la presenza (inaspettata!) in casa di topolini Tezauhquinmichin (lett. “topi portentosi”) veniva giudicata come un tentativo, da parte di una persona nemica, di far penetrare il male nella vita della famiglia.
A proposito del topo inteso come tremendo flagello, capace di rendere inutilizzabile tutto ciò che intacca, nell’antica Grecia si invocava la protezione del dio Apollo, l’unico considerato in grado di poter fermare questa calamità.
Ad Apollo Sminteo (dal greco smintos, topo) infatti venne dedicato un tempio a Crisa, città della Misia, fondato -secondo la leggenda- da Crini, sacerdote di Apollo che in precedenza aveva disprezzato la religione. Si narra che ogni anno Crini avesse il raccolto rovinato dai topi, fin quando il dio Apollo non trafisse con le sue “frecce della peste” i famelici roditori, e finalmente Crini addolcì la sua avversione per i riti e gli oggetti sacri. In una ulteriore versione della leggenda riguardante la costruzione del tempio dedicato ad Apollo Sminteo (dove viene rappresentato con un topo ai suoi piedi) presenta questi roditori come animali sacri al dio, e narra dei cretesi e della loro intenzione di mandar via una colonia dalla città. Spinti da un oracolo del dio Apollo a fondare, per gli espulsi, un nuovo centro abitato in una zona scelta affinché i topi rendessero loro difficile la vita, un giorno trovarono le cinghie dei loro scudi completamente rosicchiate dai ratti stessi ed interpretarono il segnale come un invito a fermarsi in quel luogo per edificarvi il tempio.
Sempre secondo la mitologia classica la nascita di un topo dal pelo chiaro era di buon auspicio, così come il sognarli rappresentava l’avvento di un periodo prospero e felice, in quanto i topi erano considerati metaforicamente dei “servi” per cui sognarli significava avere la possibilità economica di poterne acquistare i nuovi; invece contrario, se si sentiva squittire un topo durante una cerimonia importante, era considerato saggio interromperla.
Il topo bianco ha assunto nella mitologia anche altri significati: sia per gli egizi che per i greci era una animale voluttuoso; ma mentre per i primi erano capaci di riprodursi anche solamente leccandosi a vicenda o potevano nascere dal limo lasciato dal Nilo, ed avevano il fegato che ricresceva ogni volta a seconda delle fasi lunari, per i greci erano dei simboli per illustrare le carezze date tra gli amanti, e questa attribuzione di supposta sensualità contribuì a far sì che venissero raffigurati con la dea dell’amore Afrodite sulle monete dell’epoca.
Nell’iconografia greca, inoltre, Proserpina dea dei morti e della fertilità della terra, vestiva con abito ornato da un velo decorato di ratti ricamati, ed è curioso trovare una veste simile indosso ad una figura canonizzata come Santa Fina, nata in Toscana nel XIII secolo. Tutto ciò porta a considerare l’esistenza di un nesso tra il rapporto che il topo sembra avere con la fertilità e la sua tendenza a riprodursi in maniera spropositata.
Delle capacità vaticinatorie dei topi ce ne parla anche Plinio il Vecchio quando racconta che la guerra dei Marsi venne rivelata dagli scudi d’argento rosicchiati a Lanuvio, così come avevano preannunciato la morte del comandante Carbone rosicchiandogli le stringhe dei calzari presso Chiusi. Grazie a Livio, inoltre, veniamo a sapere che l’oro del tempio di Giove insieme ad una corona altrettanto preziosa di Anzio, entrambi mordicchiati dai roditori, furono stimati come segno luttuoso di guerra difficile e cruenta; che sarebbe poi scoppiata tra i romani ed i cartaginesi.
Nella civiltà asiatica il topo assume caratteristiche piuttosto positive. In India, ad esempio, rappresenta la prudenza, la preveggenza e viene venerato in templi appositi, in quanto gli si attribuiscono proprietà taumaturghe per tutte le malattie provocate da spiriti maligni. Nella mitologia induista gioca un ruolo fondamentale il topo Mushaka, notissimo in India essendo la bizzarra e ambigua cavalcatura del dio Ganesha, dio dei poeti, della sapienza e dell’eloquenza. Ganesha viene rappresentato tradizionalmente con un corpo tozzo dal colore giallognolo, provvisto di ben quattro braccia e testa di elefante; è ritenuto guida spirituale per l’uomo, in quanto capace di aiutarlo nelle difficoltà della vita, ma anche in grado di creargli impedimenti perché impari a vincere le tribolazioni grazie all’aiuto dello spirito.
Il topo Mushaka, secondo la leggenda, era inizialmente un gigante al quale gli dei avevano fatto dono dell’immortalità; ma fece cattivo uso di questa sua qualità iniziando ad affliggere gli esseri umani; di conseguenza gli uomini invocarono il dio Ganesha che intervenne scagliando contro Mushaka uno dei suoi denti, il quale penetrandogli nello stomaco lo fece cadere per terra. Accadde così che il gigante si trasformò in un topo, anche se sempre di proporzioni enormi, e rialzatosi si scagliò contro Ganesha, che però riuscì a bloccarlo saltandogli in groppa e costringendolo in questo modo a diventare la sua cavalcatura. Secondo la mitologia induista da allora Mushaka è sempre stato insieme a questa divinità, assumendo degli atteggiamenti anche un po’ contraddittori, considerato che agisce con malizia e cupidigia cercando di rubare agli uomini la spiritualità perfino nella beatitudine della meditazione religiosa. Mushaka assume di conseguenza l’aspetto di un demone che cerca di spingere i fedeli a comportarsi in maniera negativa, facendoli cadere in equivoco o trasformando la realtà a suo piacimento; questo atteggiamento di Mushaka è però nondimeno un espediente per aiutare i seguaci nel capire come affrontare con successo una esistenza insidiosa affilando le proprie armi spirituali.
In Cina i topi sono specificamente correlati al benessere, infatti l’assenza di questi roditori dalle abitazioni o dai propri dintorni era considerato un segno di cattivo auspicio; nel sud della Cina viene addirittura considerato una specie di Prometeo che consegnò all’uomo il riso, pianta diventata di enorme importanza nella vita ma anche nell’economia dei cinesi. Oltre a ciò, quando si sentiva un topolino rosicchiare qualcosa, si pensava che stesse contando delle monete, mentre le persone avide venivano spesso indicate con il termine “ratto del denaro. Naturalmente non mancano le connotazioni negative che toccano la reputazione di questo piccolo roditore, in quanto è uno dei cinque animali -insieme alla volpe, il serpente, la donnola e il riccio- che aspettano sulla strada di essere calpestati da qualche passante per poterli incantare.
In Giappone il topo è un esemplare di animale che è stato sempre molto vicino all’uomo, nonostante la sua tendenza a provocare numerosi danni. Ad esempio, a causa della forza dei denti dei topi quando ai bambini cadono i denti da latte si sente spesso dire “diventino come i denti dei topi!” oppure “sostituiscili con i denti dei topi!”. Con il passare del tempo è finito per entrare nell’immaginario popolare come messaggero di Daikokuten, uno dei sette dei della fortuna (shichifukujin), che accorda e salvaguarda il benessere. Forse questo è dovuto al fatto che la presenza dei topi nelle case e nei granai è segno di abbondanza di cibo. Ancora oggi il topo è rappresentato, insieme alla monete d’argento e d’oro ed a sacchi di riso, nelle cartoline di Capodanno per l’anno del topo nello zodiaco cinese.
Daikokuten, conosciuto anche come Daikoku, sembra sia arrivato dalla Cina ed in seguito si sia confuso con una divinità del pantheon scintoista Ôkuninushi no mikoto, dove Daikoku è la pronuncia giapponese dell’ideogramma cinese Ôkuni, mentre Nushi sta per signore, padrone. Durante il medioevo divenne una delle divinità più importanti tra i sette dei della fortuna, e da allora viene rappresentato con un cappello nero, una corona, ed i simboli del benessere inesauribile -una grossa borsa sulla spalla sinistra, in mano un martelletto magico in grado di esaudire i desideri dei fedeli, due balle di riso come sedile-. Il topolino che accompagna Daikokuten viene spesso rappresentato mentre fa capolino dietro le balle di riso.
Tra gli Ainu, le popolazioni autoctone del Giappone settentrionale, si narra che il topo venne creato da Dio per dare una punizione al demonio, dopo un alterco avuto con lui. Dio mettendo la mano dietro la schiena diede vita ad un topo, che subito azzannò la lingua del diavolo strappandogliela di netto; il principe delle tenebre infuriato fece accrescere talmente tanto il numero dei ratti che, pur di contrastare questo flagello, Dio fu costretto a forgiare il gatto. È per questo che i topi venerati non danno alcun fastidio all’uomo, quelli ignorati sono in grado di provocare il caos e danneggiare qualsiasi cosa.
In Giappone, fin dall’antichità, i topi sono argomento trattato da vari campi artistici, ma è soprattutto nella favolistica che lascia tracce rilevanti, fino ad arrivare addirittura ad influenzarne la narrazione: esiste un’inibizione che impone un divieto nel raccontare fiabe di giorno, per evitare di essere derisi dai topi; ciò testimonia che i topi sono considerati gli animali portavoce della volontà divina che attraverso di loro agisce a circoscrivere lo spazio e il tempo della narrazione.
Racconti di animali
I racconti leggendari e fiabeschi nei quali entrano in scena i topi giapponesi sono numerosi; lo troviamo sia nei racconti di animali sia in quelli dove sono gli uomini ad essere protagonisti. Tali storie ci mostrano un roditore con caratteristiche non divergenti da quelle che abbiamo incontrato anche negli altri animali: è senza dubbio uno dei più intelligenti, insieme alla volpe ed al ragno, e manifesta sentimenti simili a quelli degli uomini come ad esempio la riconoscenza.
La furbizia del topo è raccontata in una delle fiabe più conosciute della cultura nipponica L’origine dei dodici segni dello zodiaco, che trattando la genesi dei simboli dell’oroscopo cinese, discende chiaramente dalla Cina. La versione giapponese e quella cinese sono molto simili; la prima, riportata di seguito insieme al testo in lingua originale, narra di una competizione istituita dal kami (dio) per decidere il capo degli animali, nella quale il topolino riesce, riconoscendo le proprie debolezze e sfruttando i punti di forza altrui, ad arrivare primo gabbando quello che da allora diventerà il suo più acerrimo nemico: il gatto.

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