a Peppino Impastato e Santo De Luca

martedì 27 ottobre 2009

GLI INVESTIMENTI DELLA REALE MUTUA A TORINO: L’INTERVENTO PER TORRE LITTORIA

Tra il 1931 e il 1937 a Torino è finalmente realizzato l’imponente rifacimento di via Roma, l’antica via Nuova realizzata tra il Cinque e il Seicento come asse rettore della città barocca in formazione negli stessi anni[i].
L’immagine della “città fascista”, celebrata dalla stampa coeva e fortemente criticata dagli apporti storiografici successivi, è costruita con il contributo di grandi società finanziarie, di assicurazione e gruppi bancari che vedono nell’investimento immobiliare una grande occasione da non lasciarsi scappare.
Il quadro che si viene a delineare è molto complesso e articolato e le ragioni dell’essere vanno ricercate nell’intricato e spesso conflittuale dibattito che si sviluppa nella realizzazione di ogni isolato, nel rapporto tra tali società e l’autorità podestarile, il Ministero dell’Educazione Nazionale, la Soprintendenza.
I discorsi “intorno allo stile” sottendono interessi di carattere finanziario ed economico legati alla rendita immobiliare e all’idea di risanamento soprattutto sociale di un settore importante all’interno della città.
Tra i vari protagonisti della vicenda e degli interventi edilizi tra le due guerre la Società Reale Mutua di Assicurazioni riveste un ruolo di primo piano, non solo nella città di Torino[ii].
In particolare, la Società interviene all’interno del cantiere di via Roma realizzando uno degli isolati più significativi: la torre littoria cittadina, il “grattacielo” che si contrappone all’immagine barocca della piazza del Castello, segno inequivocabile all’interno della città stessa.
La Torre Littoria torinese è stata oggetto di accuse dall’immediato dopoguerra. Interpretata come segno del “piccone demolitore” del regime e come monumento di un periodo storico problematico e difficile, ha legato a sé giudizi poco attenti alla realtà dei fatti.
La possibilità di studiare l’intervento all’interno di un quadro più complesso e lo studio dei disegni originali dell’architetto Armando Melis, progettista dell’edificio, ha consentito di tratteggiare e ricostruire una vicenda articolata, legata a interessi economici più ancora che a istanze di tipo ideologico.
L’edificio, infatti, è il risultato di un faccia a faccia serrato tra volontà del committente, del Comune e interventi della Soprintendenza. Le intenzioni dei protagonisti, non sempre univoche, si rivestono solo in un secondo momento dei significati politici e celebrativi ai quali la torre littoria è oggi legata.
Il legame tra la Società Reale Mutua e il regime fascista è molto forte; essa, infatti, appoggia in modo rilevante la politica di opere pubbliche soprattutto per mezzo «dell’incremento da essa portato all’industria edilizia. Non solo a Torino […] ma anche a Roma, Milano, Bolzano, la Reale contribuisce con l’erezione di imponenti edifici a risolvere importanti problemi edilizi e a fornire lavoro, attraverso l’investimento di diverse decine di milioni, a industrie e operai»[iii].
Il repentino inizio dei lavori di ricostruzione di via Roma Nuova e il valore dati a questa operazione da parte della pubblicistica di regime, convince la dirigenza della Società a partecipare alla ricostruzione di uno degli isolati più degradati dell’antico asse. Il 14 marzo 1932, così, la Società stipula con il comune una convenzione per la ricostruzione dell’Isolato San Emanuele, già di proprietà della Società La Rinascente, immotivatamente estromessa dall’iniziativa[iv].
In tale convenzione la Società si impegna a seguire le restrizioni stabilite dal Rdl del 1930, che imponeva di non modificare lo storico fronte su piazza Castello e di attenersi al regolamento edilizio vigente. Tali accordi saranno prontamente disattesi attraverso abili accordi politici[v].
In seguito alla stipula della convenzione sono incaricati della realizzazione del progetto l’architetto Armando Melis e l’ingegnere Giovanni Bernocco[vi] già progettisti della sede della Società Reale Mutua realizzata negli stessi anni.
Il progetto è redatto in poco tempo; l’inizio dei lavori si contraddistingue immediatamente per il ritmo serrato del cantiere che non è interrotto neppure nelle ore notturne.
Nel 1934, mentre i lavori della torre stanno giungendo a compimento, una visita del Sovrintendente ai monumenti,Giovanni Pacchioni, porta alla repentina chiusura del cantiere stesso. La torre, infatti, minaccia di ergersi a un livello superiore rispetto alle prescrizioni regolamentari turbando così l’equilibrio compositivo dell’insieme. A questo problema si aggiunge la volontà dell’impresa di ricostruire il fronte sulla storica piazza Castello, modificando la scansione delle arcate del porticato seicentesco.
Lo sviluppo della vicenda è uno dei punti cruciali per comprendere le profonde motivazioni i ordine economico che sottendono la grande impresa urbanistica; di fronte alla richiesta del comune di modificare il disegno della pianta a favore della creazione di una piazzetta “spartitraffico” la Società si oppone fortemente in quanto tale modificazione porta come conseguenza una diminuzione della cubatura. Per questo motivo i progettisti si sentono legittimati ad aumentare l’altezza della torre prospettante su piazza Castello.
Il Ministero dell’Educazione Nazionale impone lo studio, anche per quella emergenza, di un progetto «avente come fine di armonizzare la Torre, che si eleva in via Viotti, con l’antico Palazzo prospiciente in via Roma»[vii]. Melis e Bernocco sperimentano diverse soluzioni legate a un linguaggio eclettico. I vari progetti, però, non vengono presi in considerazione dalla Società in quanto non riescono a risolvere il problema della perdita di rendita fondiaria derivata dalla modificazione imposta dal comune. La scelta definitiva, la realizzazione di un edificio che tenta di introdurre un linguaggio architettonico attento alle istanze del moderno, non scaturisce da alcuna considerazione di natura formale.
A seguito di un complicato e poco chiaro scambio di pareri tra autorità podestarile, potere centrale direzione della società, infatti, si addiviene alla soluzione finale: contro quanto stabilito dalla convenzione il fronte sulla piazza Castello è modificato attraverso l’eliminazione di una campata e l’edificio a torre, per il quale solo successivamente si stabilisce il ruolo di torre littoria, è realizzato a 15 piani fuori terra.
Il Ministero dell’Educazione Nazionale approva il «raccordamento del Palazzo settecentesco con la retrostante costruzione moderna, allo scopo di mettere in maggior evidenza, in tutta la sua struttura, sin dal livello stradale, il grattacielo dell’isolato moderno e, per quanto riguarda il corpo intermedio, più alto di due piani, inscritto fra il Palazzo settecentesco e la Torre, esprime il parere che in esso non vengano ripetuti gli ordini dei quattro piani del palazzo prospiciente piazza Castello, ma ne sia invece reso più semplice il carattere adottando un ordine architettonico che risponda a funzioni di trapasso tra l’architettura antica e la nuovissima, con un insieme unitario che giunga sino alla gronda: il complesso edilizio che ne risulterà sarà composto da tre masse distinte ed euritmicamente composte: la fronte monumentale del Palazzo, la quinta semplice e più alta dietro, la torre altissima in fondo»[viii].
L’edificio è realizzato tra il 1933 e il 1935.

Il palazzo presenta notevoli innovazioni tecnologiche, è il primo edificio civile multipiano con struttura metallica elettrosaldata costruito in Italia. Le scelte progettuali e compositive testimoniano un continuo oscillare tra ricerca sperimentale attenta al dibattito europeo e scelte storiciste. Alla scelta di materiali costruttivi e di rivestimento innovativi (vetrocemento, linoleum, klinker…) si accompagna l’utilizzo di tecniche tradizionali.
La torre suscita nei contemporanei un grande entusiasmo; essa diventa nuovo simbolo della Torino moderna e fascista, in contrapposizione alla Mole antonelliana, «specchio del modernismo del basso ottocento»[ix].
«Il grattacielo torinese, infatti, è quanto di più opposto si possa immaginare alla Mole Antonelliana. In esso la meccanica è meccanica, e l’arte riesce a farla dimenticare come tale nella funzione espressiva. L’architetto ha pensato alla struttura che è già forma, ed è diventato ingegnere senza dimenticare di essere architetto. La torre torinese è un’opera d’arte, un’opera d’arte moderna, intendendo l’aggettivo nel suo valore spirituale di cosa spiritualmente nuova, e perciò necessaria ed espressiva»[x].
Le ragioni del regime impongono però di radicare il progetto alla tradizione italiana. La torre littoria, infatti, non può contrapporsi alla tradizione ma la deve esaltare, anche se in un’ottica di rinnovamento. La cronaca cittadina, infatti, sottolinea che la torre «non sarà mai un grattacielo nel senso comune della parola. Saremo sempre a casa nostra, non andremo a chiedere nulla in prestito ai forestieri. Sarà una torre, una torre italiana»[xi]. «La Torre Littoria accomunerà simbolicamente l’antico e il nuovo, la tradizione veneranda e la modernità che crea altre immagini e segna novelle audaci, la storia di ieri e quella ancora non scritta»[xii].
In tale “comunione” tra antico e nuovo affonda le sue radici il controverso dibattito sulla definizione di uno stile nazionale moderno ma, nello stesso tempo interprete di una antica tradizione.
Maria Sandra Poletto
[i] Si citano L. Re, G. Sessa, La formazione e l’uso di via Roma Nuova a Torino, in Torino tra le due guerre, Torino, Città di Torino, 1978 (riedito in A. Mioni (a cura di), Urbanistica fascista, Milano, Franco Angeli, 1980); Via Roma. Cinquant’anni di storia e immagini, testi di L. Re e G. Sessa, fotografie di D. Vicario, Torino 1987; G. Sessa, Via Roma Nuova a Torino, in A. Magnaghi, M. Monge, L. Re (a cura di), Torino, Lindau, 1995, pp. 507-517; M. Rosso, La crescita della città, in Storia di Torino, vol. VIII, Dalla grande guerra alla liberazione, Torino, Einaudi, 1998, pp. 427-473; M. S. Poletto, Via Roma 1861-1937: dai progetti di abbellimento al piano di ricostruzione urbanistica, tesi di Dottorato di Ricerca in Storia e Critica dei Beni architettonici e ambientali (XII ciclo) tutors prof. V. Comoli e prof. R. Tamborrino, Torino 2000; M. S. Poletto, Le altre via Roma, in V. Comoli, R. Roccia (a cura di), Progettare la città, Torino, Archivio Storico della Città di Torino, 2001, pp. 355-370; M. S. Poletto, La torre Littoria di Torino, in Politecnico di Torino, Dipartimento Casa – Città, De Venustate et Firmitate. Scritti in onore per Mario Dalla Costa, Torino, Celid, 2002, pp. 544-552.
[ii] La Società Reale Mutua di Assicurazioni si fa promotrice di molti interventi edilizi, soprattutto in nord Italia, negli anni tra le due guerre, anche in occasione dei notevoli investimenti per la celebrazione del centenario della fondazione della Società stessa.
[iii] federazione dei fasci di combattimento, Torino e l’autarchia, Torino, ottobre XVI (1939), p. 108.
[iv] ASCT, Deliberazioni del Podestà, seduta del 14 marzo 1932.
[v] Tutto l’iter realizzativi della vicenda sarà accompagnato da un fitto carteggio tra Podestà e Presidente dalla Società Reale Mutua. Molte di queste lettere non sono a oggi ancora pervenute ma a esse si fa esplicito richiamo nei documenti conservati all’interno del Fondo Affari Lavori Pubblici, via Roma e adiacenze dell’Archivio Storico della Città di Torino.
[vi] Sia l’architetto Melis che l’ingegner Bernocco fanno parte della Commissione igienico edilizia del Comune; tale ruolo facilita la loro opera. Su Melis cfr. M. S. Poletto, Armando Melis de Villa architetto e urbanista: la figura professionale attraverso l’archivio, tesi di laurea, rel. V. Comoli, correl. V. Fasoli, Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino, a.a. 1995-1996.
[vii] ASCT, Affari Lavori Pubblici, via Roma e adiacenze, Lettera della Società reale Mutua di Assicurazioni al Podestà, 10 agosto 1933.
[viii] ASCT, Affari Lavori Pubblici, via Roma e adiacenze, Lettera della R. Sovrintendenza all’arte medievale e moderna all’On, Signor Podestà di Torino, 3 febbraio 1934.
[ix] A. Melis, Scritti vari, Torino, Lattes, 1938, p. 149.
[x] M. Guerrisi, Architetture di Armando Melis, Milano 1936
[xi] La Torre Littoria, «La Stampa», 6 settembre 1932.
[xii] La Torre Littoria i piazza Castello, «La Stampa», 26 marzo 1934.

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