L'azienda trasferisce la delegata Cisl Il giudice la reintegra. I sindacati: “Penalizzato chi ha la tessera”
Nel salotto buono, in piazza San Carlo. Lì, negli ovattati uffici di Intesa-Sanpaolo, secondo la Cgil e anche secondo il giudice, si consuma una sorta di persecuzione antisindacale. Una giovane donna, Cristina Burato, è dipendente di una azienda, la Fidelity, che svolge in appalto servizi di portineria nel prestigioso palazzo.
Lo scorso anno decide di iscriversi alla Filcams-Cgil - la categoria che si occupa dei più deboli nel mercato del lavoro come imprese di pulizia, addetti alle vendite, guardie giurate - e incomincia a parlare con i colleghi, a mettere in discussione orari e retribuzioni, a discutere con il contratto alla mano.
Dopo qualche mese - come racconta la segretaria della Filcams Elena Ferro - apre una breccia tra i suoi compagni e ne iscrive altri sei-sette. E a sua volta diventa delegata sindacale. Dice Ferro: «Tra mille peripezie riesce a fare qualcosa. Evidentemente dà fastidio». Dopo otto anni nello stesso posto viene spostata negli uffici di via Alfieri. Lavora da sola. E così la delegata rimane senza rappresentati e i lavoratori senza delegata. Con lei viene spostata una seconda lavoratrice, anche lei iscritta alla Filcams che però fa turni inversi a quelli di Cristina.
A dicembre il sindacato ricorre alla magistratura e fa causa alla Fidelity, in base all’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori, per attività antisindacale. E si va in aula. Ferro spiega: «La delegata era completamente isolata e inoltre avevamo la quasi totale certezza che quell’ufficio di via Alfieri stesse per essere smantellato»
Aggiunge: «In dibattimento i responsabili dell’azienda sostengono che sono disposti a riportarla in piazza San Carlo anche perché via Alfieri effettivamente chiude». Il giudice Federica Lanza accoglie l’istanza del sindacato, condanna la Fidelity per attività antisindacale e al reintegro della lavoratrice al suo posto.
Ma c’è una sorpresa: lunedì Cristina Burato si presenta in piazza San Carlo e i suoi datori di lavoro le dicono che non può entrare perché la banca non la vuole nelle sue portinerie. Ferro è esasperata: «Sollecito la direzione di Intesa-Sanpaolo a spiegare se sia vero o meno questo veto incomprensibile, ma non ci rispondono».
E lo dice chiaro: «Se non sarà riammessa al lavoro in piazza San Carlo torneremo in Tribunale. Non si ottempera a una decisione della magistratura. Si tratta di una inaccettabile persecuzione antisindacale».
E l’avvocato Fausto Raffone, che ha rappresentato la Fiom, racconta una realtà durissima: «Casi come quello di Cristina Burato accadono di continuo. Quasi ogni giorno. Nel terziario dove i lavoratori sono più deboli perché isolati, giovani, precari, poco sindacalizzati, non appena arriva il sindacato e cercano di difendersi partono le contromisure». Ricorda un caso recente alla logistica della Michelin in corso Romania: «Siamo arrivati addirittura a un diverso trattamento economico tra gli iscritti alla Filcams e gli altri. Anche lì abbiamo fatto causa e vinto. Ma il fatto di vincere quasi sempre non consola rispetto a un andazzo intollerabile».
Ma Elena Ferro solleva anche un altro problema: «I casi di discriminazione si susseguono. Ne ricordo uno recente alla Rai dove anche lì un delegato in carico alle portinerie è stato spostato quando tutti sanno che la legge impedisce di farlo».
E prosegue: «È evidente la volontà in moltissime società e cooperative di impedire la sindacalizzazione. Ma la mia domanda è un’altra: chi appalta questi lavori non ha niente da dire?».
E incalza: «È mai possibile che enti importanti, spesso anche pubblici, non vogliano controllare se i loro appaltatori rispettano contratti, retribuzioni, diritti? Mi sembra inconcepibile che non rispondano quando vengono interpellati».
La Stampa 04/03/2010
a Peppino Impastato e Santo De Luca
giovedì 4 marzo 2010
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