a Peppino Impastato e Santo De Luca

giovedì 17 giugno 2010

Donne in pensione a 65 anni: la riforma interessa 25 mila dipendenti pubblici

La pacchia è finita. Prima o poi doveva accadere, dopo i numerosi diktat da Bruxelles. Non siamo più la felice eccezione del Vecchio Continente: anche in Italia, infatti, le impiegate pubbliche dovranno andare in pensione a 65 anni, come i colleghi uomini e come avviene nella maggior parte degli altri paesi europei.

Una riforma pretesa dalla Ue, che ha ritenuto inammissibile che l’equiparazione fosse raggiunta nel 2018 e che ha continuato a inviare avvertimenti al governo. L’ultimo, di pochi giorni fa. Un richiamo durissimo: niente scalini per l’Italia che rischierebbe pesanti sanzioni nel caso non si adeguasse.
E visto il momento delicato per le finanze pubbliche, con il rischio di fare la fine della Grecia, il governo ha voluto dare un forte segnale ai mercati. Così il Consiglio dei ministri giovedì ha dato il via libera all’equiparazione delle pensioni di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego.
Si tratta di uno “scalone” unico a partire dal primo gennaio 2012 che riguarderà, secondo le stime del ministero, circa 25.000 dipendenti pubbliche da qui al 2019. Quelle che non lavorano per lo Stato possono dormire sonni tranquilli, anche in futuro: “La monovra non riguarda in alcun modo il settore privato e non ne è neanche la premessa”, ha specificato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi.
Una riforma, secondo fonti citate dalle agenzie, che permetterebbe di risparmiare in sette anni una somma pari a 1,45 miliardi di euro. E se la Cgil, il sindacato che ha sempre puntato i piedi contro qualsiasi ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile, definisce la decisione del governo “aberrante”, mentre il segretario dei Democrats Pierluigi Bersani parla di una manovra “inaccettabile”, dalle parti dell’opposizione c’è pure chi invita a cogliere l’occasione per dare vita a una nuova previdenza.
Coma ha spiegato a Panorama.it il giuslavorista Pietro Ichino, che è anche senatore del Pd, ricordando che ogni anno lo Stato spende circa “70 miliardi di euro per ripianare il bilancio pensionistico dell’Inps”, ossia per mandare in pensione i lavoratori a 60 anni.

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