a Peppino Impastato e Santo De Luca

martedì 15 giugno 2010

R28A rete 28 aprile CHI SONO. http://www.rete28aprile.it/

Il 28 aprile del 2005 alcune decine di sindacalisti e sindacaliste della Cgil si sono incontrati per discutere della necessità di far cambiare linea alla Cgil e a tutto il sindacalismo confederale.


Questa prima riunione ha dato il via all’attività del gruppo di compagne e compagni che, per questa semplice ragione, si sono chiamati “Rete28Aprile per l’indipendenza e la democrazia sindacale”.
Il termine rete sta ad indicare la necessità di costruire nuovi legami tra tutte e tutti coloro che intendono battersi perché il sindacato fronteggi ovunque l’attacco continuo ai diritti, al salario, alle condizioni di lavoro. L’indipendenza sta ad affermare la necessità che il sindacato sia libero, non solo dall’egemonia delle imprese e del mercato, ma anche da ogni collateralismo con gli schieramenti politici e, soprattutto, da ogni subalternità verso i governi. Abbiamo articolato il significato da noi dato all’indipendenza sindacale nella frase: “il sindacato può avere governi nemici, ma non deve avere governi amici”.
La democrazia sindacale, infine, è la ragione stessa della lotta politica che abbiamo intrapreso nella Cgil. Gli anni della concertazione, degli accordi centralizzati, della moderazione salariale, dell’accettazione della flessibilità, hanno prodotto una pratica sindacale nella quale il protagonismo e il potere decisionale delle lavoratrici e dei lavoratori si è sempre più ridotto. A volte sono stati gli accordi separati a rendere drammatica questa caduta della democrazia sindacale, ma altre volte anche la pratica unitaria tra Cgil, Cisl e Uil ha prodotto piattaforme, accordi, scelte che non sono maturate con la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori interessati e a volte non sono state neppure sottoposte a una reale e rigorosa consultazione democratica.
In questi anni la Rete28Aprile si è progressivamente estesa nella Cgil proponendo rigorosamente un punto di vista critico sulle scelte sindacali che ruotavano attorno alla politica della concertazione. Quando ci siamo riuniti la prima volta, nel 2005, era al governo Silvio Berlusconi. Allora si presagiva la crisi della destra e la possibilità di un governo di centro-sinistra. Il nostro impegno allora fu quello di sostenere che la Cgil non poteva farsi assorbire dalle logiche del “governo amico”, ove fosse tornato il centro-sinistra alla guida del paese. Nei due anni, assai critici, del governo Prodi la nostra voce, assieme ad altre voci e critiche della Cgil, in particolare nella Fiom, ha con forza rivendicato la necessità di contrastare la politica economica moderata del governo e il logoramento dei diritti sindacali che, anche con il governo di centro-sinistra continuava.
Abbiamo giudicato criticamente il Protocollo del Welfare del 2007 e ci siamo battuti per il no nella successiva consultazione. Sono stati momenti difficili ed anche aspri nella vita interna del principale sindacato italiano, nei quali a volte è sembrato che la nostra presenza non fosse più accettata. Abbiamo retto e, purtroppo, i fatti ci hanno dato ragione. Gli errori e le contraddizioni e le politiche del centro-sinistra, la debolezza dell’iniziativa sindacale durante i due anni del governo Prodi, hanno portato alla crisi drammatica di speranze e di fiducia nel mondo del lavoro, nella quale è riemersa, ancora più aggressivo e arrogante di prima, la destra di Berlusconi.
La nuova situazione, l’attacco brutale ai diritti e alla contrattazione, il riemergere della politica degli accordi separati, la rottura dell’unità con Cisl e Uil, hanno portato la Cgil su un terreno di conflitto diverso dal recente passato. Noi abbiamo sostenuto questa scelta, ma siamo sempre più consapevoli che essa non sia sufficiente. La crisi economica mondiale, l’attacco ai diritti, l’attacco al salario, l’autoritarismo crescente, sia nei rapporti di lavoro sia in tutta la società, le spinte razziste e xenofobe che vengono usate da chi governa per alimentare la guerra tra i poveri, ci fanno dire che senza una piattaforma e una pratica di conflitto radicale il movimento sindacale può solo essere assorbito nelle pratiche e nelle logiche del potere economico e politico. Per questo ci prepariamo a un forte impegno nel prossimo congresso della Cgil perché gli iscritti siano posti di fronte a precise e reali alternative di linea. Per noi la fase della concertazione, del sindacalismo di vertice e istituzionale, del moderatismo è definitivamente conclusa. Gli accordi separati e la rottura con Cisl e Uil non possono essere intesi come una parentesi dalla quale uscire alla bell’e meglio, per ritornare alle politiche precedenti. O si sceglie una linea di aziendalismo, collaborazione con l’impresa, accettazione del mercato e flessibilità fino alle estreme conseguenze, oppure si combatte tutto questo con la ricostruzione del sindacalismo antagonista e democratico che abbia al proprio centro la solidarietà e la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Per tutte queste ragioni, l’impegno della Rete28Aprile è ancora più necessario oggi. Di fronte al bivio che si presenta per la Cgil, noi ci stiamo organizzando per far sì che il più grande e il più antico sindacato italiano scelga la strada giusta per ricostruire nella crisi il potere e i diritti del lavoro.
Giovedì 04 Febbraio 2010 17:22

InformaCongresso N. 9 - Si è svolta oggi, 4 febbraio, la conferenza stampa della mozione “La Cgil che vogliamo”.
La conferenza ha affrontato due temi, il primo è la questione delle regole e dell’applicazione del principio proporzionale puro tra voti e delegati. Come si sa la decisione, presa a maggioranza dalla Commissione di garanzia, di cambiare le regole tradizionali nell’attribuzione della quota di solidarietà per il sindacato dei pensionati, hanno modificato la platea congressuale. Il rischio concreto è che, a livello confederale, il numero dei delegati non corrisponda a quello dei voti. Nel direttivo del 2 febbraio il Segretario generale della Cgil ha garantito che se una mozione prende il 49% dei voti dovrà avere il 49% dei delegati. Ma questo non è ancora stato confermato dalla Commissione di garanzia, e pertanto i rappresentanti della mozione “La Cgil che vogliamo” si sono autosospesi dai lavori della Commissione.
In ogni caso la conferma formale di quanto detto dal segretario generale della Cgil comporterà un cambiamento della platea congressuale. Infatti per mantenere il rapporto proporzionale tra voti e delegati si dovrà aumentare il numero dei partecipanti al congresso fino a garantire la piena proporzionalità. Questo in alcuni casi può portare ad aggiungere alla platea congressuale eletta un numero rilevante di delegati non eletti ma cooptati. Questo è un dato politico comunque negativo. (...)
In secondo luogo nella conferenza stampa si è reso pubblico un fatto che la mozione chiede che sia chiarito e spiegato. Dai primi dati dei congressi emerge che là ove sono presenti tutte e due le mozioni c’è un certo livello di partecipazione, sostanzialmente simile a quello dei congressi precedenti. Là invece, ove i congressi si svolgono con una sola mozione, la partecipazione al voto schizza verso l’alto, raggiungendo percentuali sorprendenti. Sono stati forniti dati esemplari di alcuni congressi al Nord, al Centro e al Sud, che presentano questa anomalia.
La richiesta della mozione “La Cgil che vogliamo” è che vengano forniti i dati dei congressi suddividendo i dati complessivi dei voti tra quelli ove sono presenti entrambe le mozioni e quelli dove è presente solo una.
Se il dato dovesse confermare queste prime tendenze, e cioè quelle di un doppio livello di partecipazione al voto, molto diverso tra congressi con la presenza di entrambe le mozioni e congressi di una sola mozione, è evidente che sarebbe necessaria prima di tutto una spiegazione politica. Anche perché spesso queste anomalie coinvolgono situazioni che nel passato hanno lamentato una forte difficoltà nella sindacalizzazione. Questa richiesta vale a prescindere dai risultati e dalle mozioni.
Nel corso della conferenza stampa i rappresentanti della mozione hanno sottolineato che comunque il congresso della Cgil è un grande fatto di partecipazione democratica e quindi, a maggior ragione, queste anomalie vanno contabilizzate e spiegate. Là ove si riscontrassero vere e proprie irregolarità è chiaro che si dovrà procedere all’annullamento dei congressi

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